I certificati di lavoro ci accompagnano per tutta la vita professionale, sono importanti per la carriera e pertanto, in numerosi casi, sono motivo di controversie legali. Formulazioni negative, descrizioni errate delle prestazioni, mancanza di apprezzamento: le controversie relative al certificato di lavoro sono all’origine della maggior parte delle cause giudiziarie fra dipendenti e datori di lavoro.
In primo luogo occorre cercare il dialogo con il datore di lavoro. Non sempre le formulazioni negative vengono scelte di proposito: a volte sono solo frutto di scarsa conoscenza o capacità.
A tal riguardo può essere utile presentare al datore di lavoro proposte migliorative concrete, indicando esempi tratti dalla quotidianità lavorativa. In alternativa, o come passo successivo, è possibile richiedere per iscritto la modifica del certificato allegando una controproposta, sempre in forma scritta.
In questo caso consigliamo di fissare un termine di circa 14 giorni, alla scadenza del quale non si esclude di adire le vie legali per tutelare i propri diritti.
Se questi tentativi non sortiscono alcun effetto è effettivamente possibile intentare una causa. A tal fine occorre prima presentare una istanza di mediazione, procedura con cui si tenterà ancora una volta di trovare un accordo. Se anche questa dovesse fallire, sarete autorizzati a procedere con una denuncia presso il tribunale competente.
In linea generale il rilascio del certificato è un obbligo che la legge assegna al datore di lavoro. Il dipendente non ha quindi alcun diritto di redigere direttamente il proprio certificato, né il datore di lavoro può obbligarlo a scriverlo di proprio pugno.
Ma se esiste un accordo in tal senso fra voi e l’azienda e quest’ultima si impegna a firmarlo, la cosa è possibile. A tal riguardo occorre osservare che il datore è soggetto all’obbligo di veridicità e, in caso di emissione di un certificato falso, potrebbe essere chiamato a risponderne in sede civile e penale.
Inoltre si deve tenere conto che i dipendenti non hanno alcun diritto all’utilizzo di determinate formulazioni: pertanto la legge non tutela le richieste di modifiche che riguardino esclusivamente lo stile di redazione o determinate espressioni, senza che queste producano reali variazioni in termini di qualificazione del dipendente.
Il termine di prescrizione legale per l’emissione o la modifica del certificato di lavoro è di dieci anni. Per il certificato finale questo termine parte dalla fine del rapporto di lavoro, salvo condotte abusive, come l’attesa deliberata che i superiori competenti lascino l’azienda. In un caso di questo tipo il diritto di rettifica decade e non può più essere rivendicato.
Il termine di prescrizione legale per l’emissione o la modifica del certificato di lavoro è di dieci anni.
Il cuore del certificato di lavoro è l’informazione relativa alle qualifiche del dipendente. Un futuro datore di lavoro dovrebbe potersi fare un’idea eloquente delle qualità del candidato, pertanto la descrizione dei risultati deve essere formulata in modo chiaro e concreto.
Il dettaglio della descrizione dipende, fra l’altro, dalla durata del rapporto di lavoro. Quindi, per quelli di lunga durata, per la legge non è sufficiente una semplice frase sulla soddisfazione del datore. Importante è anche che la descrizione delle qualifiche sia riferita all’intero campo di attività del dipendente.
Se oltre alle attività quotidiane ha svolto funzioni dirigenziali, la descrizione deve toccare anche questo aspetto. Se la descrizione delle qualifiche è dettagliata e prevede giudizi separati su singole attività, solitamente viene prodotta anche una valutazione globale riassuntiva.
Il certificato deve consentire al dipendente di trovare una nuova occupazione, promuovendo la sua crescita professionale. Per questo occorre formulare il certificato di lavoro con tono «benevolo». In caso di dubbio occorrerebbe utilizzare formulazioni positive arrotondando, per così dire, le qualifiche.
Ciononostante si possono e si devono menzionare anche gli aspetti negativi, se questi sono importanti per la valutazione complessiva. Essi devono tuttavia essere formulati in maniera rispettosa.
La benevolenza si ferma dove comincia l’obbligo di veridicità. Lo scopo del certificato di lavoro è di fornire ai futuri datori di lavoro un quadro veritiero ed eloquente del dipendente e questo prevale sul criterio della benevolenza. I fatti negativi veri tuttavia devono essere menzionati soltanto se determinanti e pertinenti per il quadro globale. Non si devono menzionare episodi di piccola portata e scarsamente rilevanti.
Il certificato deve essere validamente firmato. Questo significa che è richiesta una firma autografa e il dipendente ha il diritto di ricevere il documento in versione originale. In caso di firma collettiva a due è necessario che siano due persone a sottoscrivere; se la firma è individuale, è sufficiente un’unica firma.
Il firmatario deve essere inoltre identificabile, cioè non sono ammesse firme non leggibili. Inoltre il certificato deve essere sottoscritto dai soggetti gerarchicamente superiori in azienda, mentre non è ammessa ad esempio la delega a un ufficio di gestione del personale esterno o a uno studio legale. Per contro il dipendente non ha alcun diritto di pretendere che il certificato venga firmato – o non firmato – da un determinato soggetto.
In base alla legislazione vigente potete richiedere in qualsiasi momento al datore di lavoro un certificato che indichi natura e durata del rapporto e si pronunci sulla vostra condotta e sulle vostre qualifiche. In pratica però è richiesto che a tal fine il soggetto abbia un interesse legittimo, che può essere il cambio del superiore, del settore di attività o del reparto aziendale, una ristrutturazione, un cambio di posizione volontario e l’avvenuto licenziamento. In presenza di un relativo interesse, la durata del rapporto ha un ruolo secondario e si può quindi richiedere un certificato intermedio anche dopo un breve periodo.
Se vi serve soltanto che il vostro superiore effettui il punto della situazione o attesti le vostre qualifiche, questo vostro interesse può essere soddisfatto anche nella forma di una valutazione del collaboratore o di un colloquio: in linea di principio non sussiste alcun diritto al rilascio formale di un certificato intermedio. Inoltre non avete diritto all’emissione regolare di certificati intermedi senza una particolare motivazione.
No. Ma poiché, come menzionato in precedenza, serve un interesse legittimo, il superiore può anche chiedere il motivo della vostra richiesta. Se non siete in grado o non desiderate indicarne alcuno, questi può negare l’emissione del certificato intermedio.
In linea di principio il desiderio di cambiare lavoro rappresenta un motivo legittimo per richiedere un certificato intermedio. Non è indispensabile motivare la richiesta: magari il vostro responsabile non ve ne chiederà ragione.
Ma se la domanda dovesse arrivare e voi doveste menzionare come motivo la candidatura a un nuovo lavoro, questo potrebbe avere ripercussioni tanto positive quanto negative. Da un lato il responsabile potrebbe essere interessato a trattenervi nella posizione attuale e attivarsi in tal senso. Dall’altro questo potrebbe far sorgere dubbi sulla vostra lealtà verso l'azienda e produrre ripercussioni negative.
Non esiste un termine di legge per il rilascio di un certificato, questo dipende dal principio generale della buona fede. Il vostro superiore deve disporre di un periodo di tempo ragionevole per rilasciare il certificato. In pratica si parte dal presupposto che il tutto dovrebbe potersi concludere in due settimane.
Dipende tuttavia sempre dal singolo caso. Se ad esempio il vostro superiore si trova in ferie oppure l’azienda è nella stressante fase della chiusura annuale non si può non tenere conto delle circostanze. Ma se le vostre attese sono continuamente disattese senza motivo, può essere utile comunicare ancora per iscritto la richiesta al superiore, fissando un termine adeguato.
Il cambio di superiore rappresenta un interesse legittimo per un certificato intermedio, che può essere quindi richiesto in ogni caso. Il fatto di richiederlo o meno dipende da diversi fattori. L’importante è sapere che i certificati intermedi spesso servono come base per un futuro certificato finale.
Occorre anche osservare che, quando un rapporto di lavoro è in corso, la soglia di inibizione per le richieste di modifica o l’avvio di azioni legali si colloca a un livello superiore.
Il cambio di superiore rappresenta un interesse legittimo per un certificato intermedio.
Per legge un certificato deve fornire informazioni su natura e durata del rapporto di lavoro, nonché sulle qualifiche e sul comportamento del dipendente. Il contenuto di un certificato intermedio non si differenzia quindi da quello del certificato finale, se non per la formulazione conclusiva. Inoltre il certificato intermedio viene redatto al presente, poiché il rapporto di lavoro prosegue (contrariamente al certificato finale, che utilizza il passato).
Il formale rilascio del certificato intermedio è vincolante per il datore di lavoro, indipendentemente da quale superiore lo abbia redatto. Il datore di lavoro ha l’onere della prova, qualora il certificato finale sia peggiorativo rispetto a quello intermedio: questi deve essere in grado di dimostrare perché la valutazione ora risulta peggiore.
Quanto più breve è il periodo che intercorre fra certificato intermedio e finale, tanto più incisivi devono essere i cambiamenti che hanno motivato una qualifica diversa. Anche se il rapporto di lavoro è teso, non si devono sopravvalutare singoli episodi non gravi, soprattutto perché un certificato finale deve parlare per l’intera durata del rapporto di lavoro.
Diverse sono le cose se un certificato intermedio si rivela falso. Se ad esempio il datore di lavoro viene successivamente a conoscenza di gravi mancanze nel rapporto di lavoro, un certificato finale peggiore è giustificato. In un caso di questo genere è possibile che venga richiesta la restituzione del certificato intermedio non veritiero e già rilasciato.
Non esiste alcun diritto di principio a un ottimo certificato di lavoro. Il certificato di lavoro deve essere veritiero e valutare oggettivamente le vostre qualifiche e la vostra condotta. Il metro di misura dei requisiti tiene conto del settore, dell’esperienza e della posizione in azienda.
In linea di principio siete voi ad avere l’onere di provare che vi è stata ingiustamente negata un’ottima valutazione. A questo scopo potete produrre certificati intermedi o valutazioni precedenti che vi riguardano.
In base alla legislazione vigente potete richiedere in qualsiasi momento al datore di lavoro un certificato che indichi natura e durata del rapporto e si pronunci su condotta e risultati del vostro lavoro, il cosiddetto certificato completo. Su richiesta specifica del dipendente il certificato può limitarsi alle informazioni sulla natura e la durata del rapporto, il cosiddetto attestato di lavoro.
In ogni caso quindi avete diritto a un certificato completo.
L'attestato di lavoro può essere richiesto da subito al posto del certificato completo, ma anche in aggiunta a un certificato completo già rilasciato. Se non ritenete sufficiente il certificato completo, è possibile richiedere anche un attestato di lavoro. Quest’ultimo non può menzionare il motivo della risoluzione del rapporto, nel vostro caso il licenziamento in tronco.
Secondo la giurisprudenza federale il certificato deve menzionare un’eventuale malattia e la conseguente inabilità al lavoro se
- questa ha avuto una considerevole influenza sul comportamento del dipendente
- o ha messo in questione l’idoneità ai compiti finora svolti e quindi rappresenta una causa oggettiva per la risoluzione del rapporto di lavoro
- oppure se essa ha assunto un notevole peso in relazione all’intera durata del rapporto di lavoro.
Se nessuna delle condizioni di cui sopra è soddisfatta, la menzione non è giustificata, poiché non è pertinente per il quadro globale.
In ogni caso avete diritto a un certificato completo.
Sì, è corretto. Per il certificato sono determinanti non le attività pattuite per contratto, bensì quelle effettivamente svolte. Non è possibile valutare le vostre prestazioni in un’attività che non avete mai svolto. Inoltre il certificato di lavoro deve essere veritiero e non dare adito a impressioni errate sulle esperienze pratiche da voi raccolte.
L’indicazione del motivo dell’abbandono non è un contenuto obbligatorio del certificato. Come dipendenti tuttavia dovete pretendere che venga menzionato il motivo dell’abbandono, nel vostro caso una separazione per propria decisione. Inoltre potete richiedere che il certificato non riporti nulla al riguardo,
ma in tal caso la conclusione più logica è che il rapporto sia stato risolto dal datore di lavoro. Se vi siete licenziati, dovreste insistere per fare riportare tale menzione. È prevista un’eccezione nel caso in cui, se non si menzionasse il motivo dell’abbandono, si avrebbe un impressione sbagliata e l’emissione di un certificato non veritiero. Questo può avvenire se il dipendente ha commesso gravi violazioni, tali da giustificare anche un licenziamento in tronco. In questo caso il datore può menzionare il motivo dell'abbandono anche contro la vostra volontà.
Dal motivo dell’abbandono si distingue la formulazione conclusiva del certificato. Di norma è qui che si trovano il ringraziamento per la collaborazione da parte del datore di lavoro, il rammarico per il vostro abbandono e gli auguri per il futuro. Ma poiché questo non rappresenta una valutazione oggettiva, bensì una sensazione soggettiva, non esiste un diritto del dipendente in tal senso. Quindi non potete richiedere che il datore esprima rammarico.
Come dipendenti non avete alcun diritto all’utilizzo di determinate formulazioni, la scelta del testo spetta al datore di lavoro. Se si può decidere fra più formulazioni che descrivono comunque la medesima valutazione, la scelta spetta al datore di lavoro.
In linea di principio le espressioni in codice sono vietate. Eppure spesso i dipendenti intravvedono un codice nascosto dietro una formulazione. Per questo ritengo che sia da respingere un’interpretazione restrittiva di tale divieto, perché altrimenti sarebbero inammissibili tutte le formulazioni standard nei certificati.
Vengono definite espressioni in codice le indicazioni nascoste in un certificato di lavoro. Potrebbe trattarsi di determinate segnalazioni o formulazioni. Spesso, per chi sa leggere i certificati, dietro formulazioni di tono positivo si celano connotazioni negative: queste possono determinare interpretazioni errate e violare quindi in modo inammissibile il principio di chiarezza e buona fede.
Un certificato deve essere formulato in modo chiaro, comprensibile e univoco. Il significato di certe formulazioni codificate come «ha sempre cercato» (il che sottintende che i risultati non sono stati all’altezza, nonostante i tentativi) oggi è generalmente noto. Ma anche determinate frasi fatte sempre presenti, come «con nostra soddisfazione» accompagnata dalle possibilità di graduazione come «sempre» e «piena» (in linea con un’effettiva scala di valutazioni), vengono in parte considerate espressioni in codice. Il criterio decisivo è capire se la formulazione prescelta sia effettivamente ambigua e quindi possa essere interpretata in maniera errata.
Altro tipo di codice è costituito anche dal fatto di non menzionare determinati aspetti nel certificato. Se ad esempio viene valutato positivamente il comportamento nei confronti di collaboratori e clienti, ma quello verso i superiori viene totalmente passato sotto silenzio, quest’ultimo viene interpretato negativamente.
In questo contesto rientra anche il principio della benevolenza delle espressioni del certificato. Poiché i fatti negativi non devono essere formulati in maniera irrispettosa, è usuale e ammissibile scegliere formulazioni piuttosto «felpate». Questo non è un codice, ma un atteggiamento volto a favorire il dipendente.
L’importante è che il certificato venga considerato nella sua totalità e che si tenga conto del quadro di valutazione complessivo. Se viene attestato un impegno e vengono valutati positivamente i vostri risultati, non c’è nulla da ridire. Se al contrario viene menzionato solo l’impegno ma non i risultati, la cosa è da interpretare negativamente. Leggete quindi criticamente il vostro certificato e prestate in particolare attenzione alla completezza della valutazione di risultati e comportamento.
Le assenze possono essere menzionate in un certificato di lavoro se hanno una notevole rilevanza in rapporto all’intera durata contrattuale. In altre parole, se non vengono menzionate emergerebbe un’impressione errata per quanto concerne l’esperienza lavorativa maturata.
In caso di assenza per circa la metà dell’intero rapporto di lavoro la cosa è giustificata. Attenzione: secondo la giurisprudenza federale menzionare l’assenza per congedo di maternità non rappresenta una violazione delle pari opportunità.