In ambito lavorativo il coronavirus continua a porci di fronte a nuove sfide. Certificato COVID, home office, accudimento dei figli: quali sono gli obblighi dei datori di lavoro e i diritti dei dipendenti?
Al momento la Confederazione non prevede alcun obbligo di certificato per i luoghi di lavoro e i centri di formazione, mense incluse. Il Consiglio federale consente tuttavia alle aziende di verificare che i propri dipendenti dispongano di questo attestato «se necessario per l’attuazione di misure di protezione adeguate o di strategie di test».
Le imprese possono includere l’obbligo di certificato nel proprio piano di protezione in determinate circostanze e previa consultazione dei collaboratori. I datori sono dunque autorizzati a richiedere tale documento e a vincolarvi una serie di misure; ad esempio un ristoratore può stabilire che debbano indossare la mascherina solo gli addetti al servizio sprovvisti di certificato, oppure un’azienda può disporre l’home office soltanto per chi non lo possiede.
No; in Svizzera non è possibile costringere qualcuno a vaccinarsi. In determinate circostanze un datore di lavoro può tuttavia pretendere che i propri collaboratori si vaccinino ma, secondo il Consiglio federale, «ciò è possibile solo se, in assenza di vaccinazione, nonostante le misure di protezione adottate sussiste un pericolo relativamente elevato per i collaboratori stessi o per altre persone (ad es. pazienti, clienti, colleghi di lavoro)».
Nell’ambito di un obbligo di vaccinazione è possibile stabilire che determinate posizioni vengano ricoperte solo da personale vaccinato. Secondo la legge sulle epidemie, in vigore dal 1° gennaio 2016, i cantoni possono emanare un obbligo di vaccinazione solo se la salute pubblica è messa in serio pericolo e non è possibile tutelare la popolazione mediante altre misure.
Inoltre va definito quali soggetti devono sottostare a tale obbligo: non è pertanto possibile predisporre un obbligo di vaccinazione generale, ma solo per gruppi di persone ben circoscritti. Nel momento in cui non sussiste più un serio pericolo per la salute pubblica l’obbligo deve essere revocato.
Il Consiglio federale può emanare un obbligo di vaccinazione solo in caso di situazione particolare. Anche la Confederazione è tenuta a definire con esattezza la cerchia di persone interessate dal provvedimento.
Una categoria a cui si potrebbe imporre un obbligo di vaccinazione potrebbe essere, ad esempio, il personale di cura delle case per anziani.
Se non ci si attiene a una direttiva lecita che preveda la vaccinazione il collaboratore potrebbe essere trasferito o impiegato in un ambito in cui non via sia alcun contatto con soggetti vulnerabili. Qualora non ci siano alternative il rifiuto potrebbe portare, come ultima ratio, alla cessazione del contratto di lavoro.
Nelle aziende potrebbe anche porsi il problema della legittimità di un diverso trattamento del personale vaccinato rispetto a quello non vaccinato. È ipotizzabile, ad esempio, che l’accesso alla mensa aziendale venga consentito solo ai dipendenti vaccinati. Una disparità di trattamento del genere è ampiamente dibattuta sul piano teorico, dato che da un lato potrebbe risultare problematico continuare a porre limitazioni ai soggetti non vaccinati, dall’altro comporterebbe il rischio di «stigmatizzare» e discriminare in modo ingiustificato chi non si è sottoposto a vaccinazione. È dunque necessario verificare nel singolo caso se tale disparità è realmente motivata.
In linea di massima in Svizzera è possibile e lecito incentivare i collaboratori in questo senso. Nel singolo caso è tuttavia consigliabile, prima di procedere, verificare approfonditamente dal punto di vista fiscale e del diritto del lavoro le misure che si ha intenzione di concedere a titolo di premio. In particolare è necessario tenere in riguardo anche coloro che non possono o non vogliono vaccinarsi per motivi specifici e che si ritroverebbero dunque svantaggiati.
Sì; in questo caso è necessario contattare telefonicamente il proprio medico e sottoporsi a una visita. Al datore di lavoro dovrà essere poi presentato l’apposito certificato medico. Si tratta cioè della stessa procedura adottata per qualsiasi altra malattia.
In questo caso si è comunque tenuti a prestare il proprio operato, ad es. lavorando da casa o presso un’altra sede dell’azienda. In casi del genere, il modello di lavoro Flexwork può contribuire ad alleviare la situazione. Se invece il lavoro può essere svolto esclusivamente presso la sede posta in quarantena il datore deve continuare a pagare il salario, poiché in questo caso si fa carico del rischio d’esercizio anche senza colpa (cfr. art. 324 CO).
Il datore di lavoro è tenuto a concedere, dietro presentazione di un certificato medico, fino a tre giorni di congedo per ogni caso di malattia. In caso di necessità per comprovati motivi medico-sanitari è tuttavia possibile essere esonerati dal proprio lavoro anche per periodi più estesi: si configura cioè un impedimento al lavoro senza colpa (cfr. anche art. 324a CO), con un obbligo di continuazione di pagamento del salario per un determinato periodo. I genitori devono tuttavia premurarsi di organizzare un adeguato accudimento per il figlio al fine di evitare ulteriori assenze.
No; in queste circostanze si configura un impedimento al lavoro senza colpa (cfr. obbligo legale di cura ai sensi dell’art. 276 CC). Per un determinato periodo sussiste a tale riguardo un obbligo di continuazione di pagamento del salario ai sensi dell’art. 324a CO. Anche in questo caso, i genitori devono tuttavia premurarsi al fine di evitare ulteriori assenze (cfr. sopra).
La chiusura dell’azienda rientra nel rischio d’esercizio del datore di lavoro e comporta per lo stesso l’obbligo di continuare a versare il salario. Sulla base dell’obbligo di lealtà nei confronti del datore di lavoro è possibile tuttavia predisporre la compensazione delle ore supplementari.
In linea di massima si può affermare che il rientro per tempo dalle ferie appartiene all’ambito di rischio dei lavoratori dipendenti. Se ad esempio una compagnia area interrompe i collegamenti da e verso una località di vacanza e il collaboratore non può rientrare al luogo di lavoro nei tempi necessari, l’obbligo di continuare a versare il salario viene meno. Qualora invece si venga contagiati e non sia possibile fare ritorno a causa di malattia sussiste il diritto alla continuazione del pagamento del salario.
In linea di principio, il luogo di lavoro contrattualmente convenuto non può essere modificato semplicemente attraverso una disposizione del datore di lavoro. In una situazione di emergenza, è tuttavia plausibile la necessità di dover lavorare per un determinato periodo presso un’altra filiale o in un’ubicazione diversa da quella consueta. A tale riguardo, il datore di lavoro deve tuttavia tenere in debita considerazione le caratteristiche individuali del collaboratore e la sua situazione personale specifica.